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LA PAROLA AL PRESIDENTE:
"una veloce riflessione...

Crescita, educazione, motricità, divertimento, passione, agonismo, superamento dei limiti, rispetto per gli altri, miglioramento, impegno, fatica, collaborazione, dialogo, confronto, stimolo…  

Sono gli ingredienti che crediamo di aver sempre messo nel nostro quotidiano impegno sul campo, al “Campo”, come ogni altra Società sportiva, per poter ottenere il meglio e per far bene ogni cosa.

Moltissimi i bimbi e le bimbe ai quali abbiamo avuto il piacere di dare una prima “educazione sportiva”, che abbiamo avvicinato alla gioia di muoversi, di correre; molti i ragazzi che sono cresciuti con noi appassionandosi all’atletica e tenendola poi nel cuore…

Tra i tanti risultati che abbiamo ottenuto nella nostra storia, ve ne sono parecchi che non sono stati decretati da un cronometro o da una “bindella”, che non sono magnificati da medaglie o allori o maglie azzurre, bensì anche soltanto testimoniati con gesti semplici e sinceri: come quello di un genitore che iscrive da noi il figlio, a distanza di tanti anni da quando egli stesso venne portato al Geas dai propri genitori; come quello che, inaspettatamente e con mia grandissima sorpresa, ha ordito ad inizio anno un “manipolo capitanato dall’ex giavellottista Andrea De Antoni”, dando il via ad un tumultuoso passaparola per raccogliere fondi in favore della Società(*)… credo, siano cose come queste che ci possano far dire di aver ottenuto dei risultati e dei riscontri come educatori, sportivi e come persone. E qui mi fermo, per evitare ulteriori auto-incensamenti!

(*)  https://www.geasatletica.it/blog/gallery-post-del-120121-non-tutti-i-mali-vengono-per-nuocere

... e una semplice richiesta"

Mi piacerebbe quindi dedicare questa pagina del sito alla Vostra voglia di raccontarci una qualche esperienza, ricordo o insegnamento come atleti o allenatori Geas (o ex, beninteso), come anche al piacere di testimoniarci cosa è o sia stata l’esperienza dei Vostri figli al Campo… vale tutto! Potete mandarci parole, pensieri, suggerimenti, testimonianze, fotografie sbiadite, cioccolatini, aminoacidi ramificati...                   grazie, Roberto Vanzillotta

Alessandra Fossati

Lo sport, tutto lo sport, è palestra di vita.

Una frase sentita così tante volte da diventare quasi banale, ma così vera. Perché lo sport insegna davvero molte cose: l’impegno, il rispetto, la cura del proprio corpo, la capacità di confrontarsi con sé stessi e affrontare le difficoltà. Contribuisce in modo incisivo alla crescita fisica e psicologica dell’individuo.

E l’atletica più di tutti, perché è la regina degli sport e perché è nel mio cuore, avendo praticato per tanti anni salto in alto. La seguo molto ancora adesso.

La mia vita sportiva, pur essendo cominciata altrove, si è concretizzata a Sesto, al campo che per me rimane ‘di Via Rovani’. E’ qui che sono stata accolta per tanti anni di allenamento, sudore, passione ed entusiasmo.

E professionalità.

A Sesto infatti ho avuto la fortuna di essere allenata da Roberto Vanzillotta, che del Dordoni ne ha fatto la sua casa. Sua e di tanti, tantissimi ragazzi e ragazze che in tutti questi anni hanno frequentato la pista e messo alla prova il loro talento o semplicemente provato una disciplina sportiva. Al Dordoni sono cresciuta, nel vero senso della parola. Perché gli anni dell’adolescenza e di giovane adulta sono quelli irripetibili e fondamentali nella formazione della personalità e del carattere degli individui. L’atletica mi ha dato molto, risultati, soddisfazioni, la possibilità di viaggiare e conoscere nuovi paesi e culture in un periodo in cui queste cose non erano scontate o facili come ora. Ma il lascito forse più importante sono le relazioni umane: a distanza di tanto tempo posso dire che le amicizie più profonde sono quelle sviluppate in quegli anni; l'aver vissuto insieme ad altri, poi diventati amici, un periodo così fondante della nostra personalità di futuri adulti ha creato legami preziosi e duraturi.

Questi legami e la competenza che sapevo di trovare mi hanno anche fatto tornare, al Dordoni, da genitore. Quando mia figlia ha iniziato a praticare atletica, guarda caso salto in alto, ho bussato di nuovo alla porta di Vanzillotta. E al Dordoni ora ha trovato casa anche Alessia Trost, tra le migliori saltatrici in alto italiane di tutti i tempi.

E di nuovo ho trovato accoglienza, preparazione, esperienza, e un gruppo di altri ragazzi con cui Maddalena condivide pomeriggi di allenamento. Perché pur essendo uno sport individuale, l’atletica è aggregante, insegna il valore del lavorare insieme, per stimolarsi e imparare dall'altro, con spirito di gruppo.

Se non fosse ancora chiaro, la mia è una dichiarazione d’amore per l'atletica, lo sport più bello del mondo. Che è anche uno sport molto democratico, dove non ci sono differenze di status socio-economico, di ricchezza e povertà. E’ uno sport che favorisce l’integrazione, in atletica si è tutti uguali e tutti hanno le stesse opportunità. Che sono tante, perché le molte specialità in cui si declina coprono lo scibile sportivo: puoi correre veloce o a lungo, saltare in estensione o in alto, con o senza asta, lanciare in molti modi. E marciare: come dimenticare la tradizione della marcia che tanto lustro ha portato proprio a Sesto S. Giovanni.

Last but not least, l’atletica è democratica perché è economica, alla portata - davvero - di tutte le famiglie; un aspetto per niente trascurabile.

Cosa chiedere di più? Avere la possibilità di continuare a frequentare il Dordoni.

Perché perdere questa possibilità, rinunciando a una struttura così ben equipaggiata, che consente di allenarsi all’aperto e al chiuso, con palestre molto attrezzate e un rettilineo coperto con spazio per il salto in alto, e rinunciare al know how acquisito da Vanzillotta in primis, ma anche dagli altri allenatori e allenatrici che nel tempo lo hanno affiancato e supportato nella gestione dei tanti ragazzi che lo frequentano, sarebbe una grande e grave perdita.

Matteo De Cherchi

Ero giavellottista del Geas Atletica.

Al di fuori del “Dordoni” era persino complicato spiegare cosa fosse un giavellotto (molti amici lo confondevano col martello, dovevo quindi spiegare che il giavellotto è quella specie di lancia lunga. «Ah!» era la reazione più entusiastica), alcuni mi chiedevano perché avessi scelto quella specialità e trovare una risposta credibile richiedeva un notevole sforzo di creatività. 

La verità è che ero abbastanza scarso nelle altre specialità. Non che nel lancio del giavellotto fossi un prodigio, anzi, ma perlomeno fin dai primi lanci riuscivo a tirarlo dritto, infilzando la punta nel prato del campo di calcio. Quasi sempre.

All'epoca questo pareva essere un talento sufficiente. Quindi, con orgoglio, diventai un lanciatore del GEAS.  

Il mio esordio da giavellottista al “Dordoni” non fu dei più incoraggianti.

Nei primissimi lanci della mia “carriera” riuscii a bucare (sì, proprio così: bucare) il giavellotto più bello del campo, nuovo di zecca, quello che costava un sacco di soldi e che la società aveva comprato con la raccomandazione di usarlo con cautela, attenzione e cura. Usatelo solo in gara, ci dicevano. Certo, come no.

L'ho bucato colpendolo con la punta di un altro giavellotto, ovviamente più vecchio, logoro e di bassa qualità.  

Riuscite ad immaginare di lanciare a una cinquantina di metri (non è vero, un po' meno) un giavellotto e di infilzarne un altro lanciato qualche minuto prima a quella stessa distanza, conficcato sul prato in quello stesso punto, e di lasciare un foro di un paio di centimetri proprio al di sotto dell'impugnatura?

Be', io ci sono riuscito. Al primo tentativo.

Subito dopo il lancio guardai l'allenatore e gli altri colleghi lanciatori, anche loro esterrefatti. Non poteva essere vero eppure il rumore sordo dell'alluminio che si rompe era inequivocabile.

Avvilito e mortificato continuai l'allenamento con la tristezza nel cuore.

Per rassicurarmi l'allenatore mi disse che non era così grave, che si poteva usare lo stesso quindi non dovevo starci troppo male. 

Il giavellotto si spezzò a metà un paio di lanci dopo. 

I miei ricordi non sono legati ai risultati sportivi - non pervenuti - ma alle persone, alle facce di adolescenti audaci e imperfetti, alcuni diventati amici e altri persi per strada e che inconsapevolmente si davano una mano a crescere.

Con loro ho condiviso il tempo. Ho condiviso allenamenti in serate autunnali di nebbia fitta, che così fitta non la fanno più. O al sole di primavera che al tramonto illuminava proprio le nostra pedana di lancio, e le nostre facce di adolescenti audaci e imperfetti.

Yuri Maderloni

La mia scoperta dell’atletica è grazie ai Giochi della Gioventù con la scuola.

Una piccola olimpiade per noi studenti, per me che giocavo a calcio a quei tempi un mondo diverso dagli sport di squadra e dai giochi in cortile.

Il vero esordio sul “tartan” però è arrivato qualche anno dopo, in prima superiore e da quel momento sono stati dieci anni che mi hanno aiutato a crescere, ho varcato le soglie dell’allora campo Rovani da ragazzo e ne sono uscito da adulto nel 2005. Ho lasciato una realtà che era cresciuta con un centro sportivo, l’attuale Dordoni, dedicato esclusivamente alla pratica delle tante discipline che rendono regina olimpica l’atletica.

In questi anni di corsa, ho conosciuto persone speciali che mi hanno insegnato cosa significhi lavorare duramente ed onestamente contando sulle proprie forze, sul proprio intelletto e desiderio di conoscere e migliorare le tecniche di corsa, salto o altro. Ci siamo allenati con metodo scientifico, ma anche in modo artigianale curando i dettagli ma con i mezzi, pochi, a disposizione.

Ciò che rende l’atletica la regina delle Olimpiadi non è il business che ci sta dietro, ma la dedizione che atleti, tecnici e dirigenti cercano nella perfezione del gesto, nello spostare un centimetro, un centesimo più in là il nuovo traguardo.

Ho avuto la fortuna di correre per il Geas Atletica e per la SNAM, sono riuscito a togliermi diverse soddisfazioni vincendo qualche titolo e medaglia, ma le vittorie più grandi e indelebili sono rappresentate dagli insegnamenti ricevuti, dal tempo trascorso e dai legami personali stretti anche se per tante ragioni non più quotidiani.

Elena Sordelli

[…] Ho sentito subito questa strana e rassicurante sensazione di essere a casa appena arrivata, sedicenne, all’allora Campo Rovani. Grazie sicuramente all’impronta che gli allenatori e il presidente avevano dato alla società e di conseguenza all’ambiente in cui ci si allenava. Mi sono sentita subito a mio agio e accolta, e non è che io fossi già una campionessa, anzi… ma era un ambiente in cui ci stavo, e ci si stava, volentieri.

[…] Ci sono anche chiaramente i tanti ricordi da atleta professionista, di un’atleta che si è allenata lì per quasi vent’anni. Su quella pista ho versato sudore, ho riversato tutta la mia passione, ho gioito, ho faticato, ho pianto, mi sono arrabbiata e mi sono divertita, ho esultato, mi sono sentita forte e mi sono sentita limitata….

[…] Ed ora, come allenatrice, su quel campo, tutte le mie esperienze e le mie sensazioni le posso utilizzare e trasformare per far crescere i mie ragazzi. In ogni senso, umano e sportivo.

Se penso che quel posto così com’è non ci potrà più essere mi viene da piangere! È come se mi stessero cacciando di casa insieme a centinaia di ragazzi che non potranno così più provare emozioni simili a quelle che ho provato io… [...]